Con il vecchio metodo retributivo per i finanzieri che andavano in congedo era, di fatto, scontato beneficiare di un assegno di pensione netto pari o più alto dell’ultimo stipendio.
Con il metodo contributivo, l’assegno di pensione dipende da quanto si è versato nel corso della vita lavorativa (montante contributivo), dall’età anagrafica in cui si va in pensione e dall’andamento del PIL nazionale.
L’assegno di pensione nel sistema contributivo è, infatti, calcolato con la seguente formula:
(Montante contributivo * coefficiente di trasformazione legato all’età di pensionamento) / 13
Il montante contributivo è la somma dei contributi versati nel corso dell’intera vita professionale (di anno in anno rivalutati a tassi di capitalizzazione legati all’andamento del PIL nazionale) e il coefficiente di trasformazione è un parametro calcolato dal Ministero del Lavoro con cadenza biennale in base alla c.d. speranza di vita.
In sintesi, con il metodo contributivo: più contributi si versano, più tardi si va in pensione, migliore è l’andamento del PIL nazionale e più alto sarà l’assegno di pensione. Purtroppo, viste anche le non certo brillanti prospettive dell’economia nostrana, con questo metodo è impensabile immaginare un assegno di pensione netto pari o più alto dell’ultimo stipendio, anzi! Tanto che per garantire ai più giovani una pensione dignitosa, all’epoca della riforma, si pensò alla c.d. previdenza complementare.
Con l’introduzione del sistema contributivo, inoltre, i particolari limiti ordinamentali imposti al personale del comparto sicurezza e difesa (generalmente 60 anni, rispetto agli allora 65 del resto del pubblico impiego) divenivano, di fatto, un fattore di penalizzazione. Da qui la creazione di due “alternativi” strumenti di compensazione (il c.d. “X5” e l’”ausiliaria”) oggi attivabili dai finanzieri che raggiungono il limite ordinamentale o 40 anni di servizio effettivo[1].
Premesso che, al momento, non c’è nessuna riforma in cantiere e nessun tavolo di confronto aperto, proviamo a fare un punto di situazione, partendo da fatti certi.
Primo fatto certo. La secca introduzione del sistema retributivo degli anni ‘90 ha, di fatto, diviso i lavoratori in due categorie. A parità di contributi versati, infatti, nei prossimi anni avremo: lavoratori con una pensione più alta dell’ultimo stipendio (retributivi puri o misti con cospicua parte retributiva) e lavoratori con una pensione ben più misera dell’ultimo stipendio (contributivi). Una criticità destinata ad essere sempre più evidente che inevitabilmente causerà contrasti generazionali.
Secondo fatto certo. Il limite ordinamentale per il resto del pubblico impiego è stato elevato da 65 a 67 anni, mentre gli attuali strumenti di compensazione (“X5” e “ausiliaria”) sono rimasti tarati ad una differenza di 5 anni. Una circostanza che rischia di penalizzare i finanzieri che hanno iniziato a lavorare in tarda età.
Terzo fatto certo. A differenza di altri comparti pubblici, nel comparto sicurezza e difesa non è mai partita la previdenza complementare. Sono tuttavia rimasti vigenti strumenti di compensazione (TFS e “sei scatti”) che hanno consentito e consentono di mitigare gli effetti negativi del metodo contributivo.
Quarto fatto certo. Le risorse sinora messe a disposizione per compensare la mancata partenza della previdenza complementare nel comparto sicurezza e difesa (20 mln di euro per il 2022, 40 mln di euro per il 2023 e 60 mln di euro a decorrere dal 2024) sono del tutto insufficienti.
In questo contesto, le proposte sinora più o meno velatamente avanzate per risolvere le criticità sopra descritte, sono sostanzialmente tre:
- avvio della previdenza complementare, con lo stanziamento di risorse idonee a recuperare il tempo perso;
- introduzione di una previdenza c.d. “dedicata” [2] per il personale del comparto sicurezza e difesa, sostanzialmente costituita dall’attribuzione di un coefficiente di trasformazione legato all’età più generoso rispetto a quello attualmente previsto (es. coefficiente di 67 anni per il finanziere che va in pensione a 60 anni);
- possibilità, su base volontaria, di superare gli attuali limiti ordinamentali.
Le prime due proposte presuppongono lo stanziamento di risorse molto superiori rispetto a quella a disposizione e la seconda presenta anche la difficoltà politica di ricreare un regime previdenziale speciale e specifico per una categoria di lavoratori pubblici.
La terza proposta è invece a costo zero, ma presuppone un ulteriore innalzamento dell’età media delle Forze di polizia e delle Forze Armate, con evidenti ed insostenibili riverberi in termini di efficienza ed operatività.
È noto che il Governo ha promesso l’apertura di un tavolo di concertazione in materia previdenziale. Sarebbe il caso che una questione di tale importanza fosse affrontata con i sindacati piuttosto che con l’abrogando Cocer.
Il SILF è pronto a discutere con tutti! Per questo, nelle prossime settimane avvieremo una campagna informativa, di ascolto e di approfondimento sul tema previdenziale.
[1] I 40 di servizio effettivo a prescindere dall’età anagrafica solo sino al 2033.
[2] In questo senso il DDL 606 recentemente presentato dalla Sen. Pucciarelli + altri (Lega).